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PREISTORICA E GRECA

Numerosi resti dell'epoca preistorica permettono agli studiosi di affermare che la Sicilia e le sue isole fosse abitata. Nei secoli successivi, l'arrivo in massa dei Greci costringe i Fenici a raggiungere i loro alleati, gli Elimi e i Cartaginesi, ad ovest dell'isola dove fondano diverse città, tra cui Palermo, Solunto, Selinunte e Mozia. Di quel periodo sussistono poche tracce artistiche (come la Grotta del Genovese a Levanzo e la Grotta dell'Addaura nei pressi di Palermo). L'arte siciliana raggiunge in effetti il suo apogeo in epoca greca. Nei secoli successivi, a partire dall'epoca romana fino ai giorni nostri, la creatività siciliana ha continuato però ad esprimersi. La complessità storica di quest'isola, costretta a subire l'imposizione di un'infinità di popoli e di culture su un territorio chiuso dal mare, spiega la particolarità e l'eccezionale valore storico e artistico delle opere siciliane attraverso i secoli. Secondo le fonti archeologiche, le prime tracce di fortificazioni militari e di architettura civile in Sicilia risalgono alla fine del VI sec. a.C. Poche sono le vestigia anteriori a quel periodo benchè sia presumibile l'esistenza di costruzioni militari già a partire dall'VIII sec., con l'inizio delle lotte tra le varie città e l'ascesa dei tiranni. Durante la dominazione dei tiranni la regione si arricchisce di edifici fortificati (intorno al VI sec. a.C.), costruiti con materiali che variano a seconda delle ricchezze geologiche del suolo: sul versante orientale dell'isola infatti, viene comunemente usata la lava, come lo dimostrano i siti di Naxos e Lipari. Quando le pietre risultano insufficienti, vengono sostituite da mattoni a crudo con cui si erigono le mura, il cui isolamento dal terreno è assicurato da una base costituita da sassi o da un impasto di ciottoli ed argilla.Sebbene la Sicilia non abbia riportato alla luce numerosi resti archeologici, sussistono tuttavia alcune fortezze, costruite in punti strategici nei pressi delle città o nelle immediate vicinanze, in luoghi difficilmente accessibili, queste strutture assicurano la difesa delle città, delle strade e di altre vie d'accesso. Tre grandi esempi architettonici testimoniano questo tipo di costruzione difensiva. Il Castello Eurialo, costruito intorno al quinto secolo a.C. e situato a nord-ovest di Siracusa, domina la strada principale che dalla città porta all'interno dell'isola. Nel IV e III sec. a.C., l'edificio viene ulteriormente fortificato con l'aggiunta di bastioni avanzati e di fossati e guarnito di cinque massicce torri. Ad est dell'isola l'antica città di Erice, che nel V sec. a.C. subisce una forte influenza greca, possiede ancora i suoi bastioni la cui base poligonale appartiene a quell'epoca. Le fortificazioni greche di Capo Soprano, che un tempo circondano l'intera collina di Gela, costituiscono un tipico esempio di bastioni in pietra e mattoni. Le piante di alcune città siciliane riflettono nettamente l'influenza della civiltà greca. L'urbanista Ippodamo di Mileto, filosofo e geometra greco del V sec. a.C., è il promotore della pianta a scacchiera adottata nelle città greche, fondate secondo un modello costituito da due assi: il cardo (o stenopos in greco), orientato da nord a sud, ed il decumano maggiore (plateia in greco), orientato da est ad ovest. La rete viaria è poi completata da altri cardi e decumani minori che formano una maglia ortogonale.All'interno di questa pianta sono inseriti degli edifici ben precisi e varie aree:l'agorà rappresenta, come in tutte le città greche, la piazza principale e il centro della vita pubblica: nel periodo classico viene cinta da portici regolari; il pritaneo, ai margini dell'agorà, ospita l'insieme delle attività civiche; Iekklesiasterion (riservato all'ekklesia, vale a dire l'assemblea del popolo) è un edificio pubblico profano in cui si svolgono le riunioni popolari. Quello di Agrigento è oggi uno dei più famosi risalenti a quel periodo. All'esterno della pianta urbana si estendono le costruzioni religiose e i settori a loro riservati, destinati a proteggere simbolicamente la città. L'architettura sacra è rappresentata da due tipi di monumento: il tempio e il teatro. Situati al di fuori delle città questi edifici devono essere visibili da lontano, motivo per cui dominano spesso uno splendido panorama. A partire dall'VIlI sec. a.C. i coloni greci importano in Sicilia i loro culti e i loro dei trasformando l'isola in un luogo oggi considerato uno dei più straordinari musei all'aperto di templi dorici, detti di "stile severo". Il culto degli dei non necessita della costruzione di un tempio, dato che quest'ultimo costituisce solo un'offerta fatta da una o varie città e a volte da semplici privati. Al centro dell'edificio si trova il naos (cella), camera oblunga dedicata al dio. Davanti alla cella si trova il pronaos (sorta di anticamera) mentre, nella parte posteriore, l'opistodomos serve da camera del tesoro, completato a sua volta (o sostituito, come nel tempio G di Selinunte) da un adyton. Tutt'intorno si sviluppa un colonnato (peristilio). Il tempio è composto da uno stilobate (basamento) su cui poggiano le colonne, che a loro volta sostengono una trabeazione. I lati più piccoli presentano un frontone triangolare che permette di definire l'inclinazione del tetto a doppia falda, ricoperto di tegole. Questa sovrapposizione di elementi diventa rapidamente una regola di costruzione applicata poi negli anni successivi. Lo stile dorico conosce il suo massimo splendore in Sicilia. Nato nel Peloponneso, si diffonde nella Grecia continentale e conseguentemente nei paesi colonizzati, tra cui la Sicilia, dove esercita una forte influenza. La colonna dell'ordine dorico, che unisce imponenza e sobrietà, possiede 20 scanalature verticali (a partire dal V sec.) e viene innalzata senza alcuna base, direttamente sullo stilobate. Il capitello che la sormonta, privo di decorazioni scolpite, è formato da un semplice cuscinetto rotondo (echino) sovrastato da un abaco (elemento quadrato su cui poggia la trabeazione). La trabeazione dorica è costituita da un architrave liscio, coronato da un fregio in cui si alternano metope (pannelli generalmente costituiti da bassorilievi scolpiti) e triglifi (pannelli che presentano due profonde scanalature verticali al centro e altre due più piccole ai lati). Nel VI sec. a.C., quasi tutti i templi edificati in Sicilia sono peripteri (vale a dire cinti da una fila di colonne) ed esastili (la facciata comprende 6 colonne), sebbene alcuni ne possedessero più di sei, come il tempio G di Selinunte. Per la semplicità della sua struttura e la perfetta armonia delle sue proporzioni, l'architettura del tempio è considerata il prototipo della bellezza ideale. Le sue misure vengono definite da un modulo convenzionale, calcolato in base alla dimensione del raggio medio della colonna che influisce maggiormente sulla struttura del monumento. Gli architetti, constatata la tendenza dell'occhio umano a deformare le linee degli edifici di grandi dimensioni, pensano di arrecarvi alcune correzioni ottiche. Le trabeazioni, la cui parte centrale sembra leggermente cedere verso il basso, vengono rialzate in centro, acquisendo in tal modo un'impercettibile forma arquata. Per creare un'impressione di perfetto equilibrio, le colonne situate ai margini delle facciate dei templi vengono inclinate verso l'interno, in modo da evitare l'effetto contrario. Una terza correzione viene infine apportata al fusto stesso delle colonne: nei templi particolarmente grandi (come quelli della Concordia ad Agrigento. di Selinunte o di Segesta) colonne perfettamente rastremate sembrano restringersi nella parte alta, motivo per il quale si provvede a compensare quest'illusione ottica con un rigonfiamento (entasi) appena percettibile (e solo a distanza ravvicinata) a circa 2/3 dell'altezza del fusto. Le sculture figurative, il cui ruolo è spesso didattico, compaiono sugli elementi più visibili e su quelli privi di funzione architettonica: timpano dei frontoni, metope dell'architrave e bordo dei tetti. I templi vengono dipinti con sfondi dei bassorilievi generalmente rossi e parti salienti azzurre in modo da far risaltare il candore delle sculture in marmo o in pietra. Una tonalità "bronzo dorato" permetteva di valorizzare alcuni elementi decorativi, quali scudi ed acroteri (motivi decorativi posti alle estremità o in cima al frontone). Al di sopra delle cornici laterali (alle estremità del tetto) alcune decorazioni scolpite, chiamate antefisse, fungono da doccioni.Nei pressi della maggior parte dei santuari greci sorgeva un teatro dove si svolgono le feste dionisiache (in onore di Dioniso, dio del vino), i cui inni, detti anche "ditirambi", diedero vita alla tragedia greca.Costruito prima in legno, poi in pietra, a partire dal IV sec. a.C., l'edificio comprende: il koion o cavea, serie di gradini disposti a semicerchio la cui prima fila è riservata ai preti e ai notabili: vi si accede nella parte bassa attraverso entrate laterali (parodos), nella parte centrale per una galleria (diazoma) e in quella alta per un passaggio parallelo al diazoma;l'orchestra, area circolare ove, intorno all'altare di Dionysos, prendono posto il coro e gli attori, i cui volti sono nascosti da maschere corrispondenti al loro ruolo;un proscenio (proskénion) sullo sfondo, sorta di portico che serviva da scenario, ed una scena (skéné), costruzione dalla triplice funzione di scenario, quinte e magazzino. Durante l'epoca ellenistica questa skéné diviene un luogo principalmente riservato agli attori. Il muro di scena migliora l'acustica del teatro. Dato che questi edifici sono generalmente immersi in uno splendido paesaggio, sul fianco di una collina o di una montagna, lo sfondo naturale (particolarmente spettacolare a Taormina e a Segesta) serve da scenario alle rappresentazioni. La scena, quasi sempre sopraelevata, domina l'orchestra circolare, ove vengono anche effettuati alcuni sacrifici. Le rappresentazioni teatrali nell'antichità avevano luogo in occasioni di feste pubbliche. Non erano quindi un evento ricorrente o quotidiano come adesso, ma costituivano, invece, uno dei momenti salienti di feste cittadine ed avevano, nella maggior parte dei casi, una lunga durata (potevano essere tre o quattro giorni di rappresentazione). Lo spettacolo aveva luogo di giorno ed era a cielo aperto. Gli attori, solo uomini che sostenevano anche i ruoli femminili, erano dotati di alte calzature "i coturni" e acconciature per essere ben visibili e di statura imponente (l'altezza era anche indice dell'importanza sociale di un personaggio) e indossavano maschere che permettevano di amplificare la voce e di incarnare differenti personaggi (gli attori erano pochi e sostenevano più ruoli). Esse però impedivano di sottolineare l'azione con la mimica facciale. Proprio per questo motivo, molto importanti erano i gesti. L'abito di scena era molto colorato e sembra che le tinte avessero un carattere simbolico. Così, ad esempio, il nero indicava lutto e sventura. All'identificazione di un personaggio (età, stato sociale, stato d'animo, provenienza) contribuivano anche la maschera e alcuni attributi a lui comunemente associati: la corona per ire, il bastone per i vecchi, i copricapi per gente straniera. Oltre agli attori, sulla scena trovava posto il coro, la cui funzione primaria era quella di commentare gli eventi narrati. Per sottolineare la particolare drammaticità dell'azione, o l'entrata in scena di un personaggio importante, venivano utilizzati dei veri e propri macchinari scenici. Tra i più noti vi sono la macchina per produrre i fulmini, un pannello nero su cui era riprodotta, in oro zecchino, una saetta che, mostrata all'improvviso, riluceva al sole (non si deve dimenticare che, come già accennato prima, gli spettacoli erano diurni), o la macchina del tuoni, in cui il rombo era ottenuto facendo rotolare grosse pietre in un recipiente in ottone o il Mechané, congegno tramite il quale era possibile far apparire improvvisamente sulla scena un dio che risolvesse la situazione. In effetti era probabilmente un gancio collegato ad una carrucola che permetteva di far apparire, dall'alto la divinità. L'espressione, ancora oggi utilizzata, Deus ex Machina (usata per indicare un'improvvisa ed inaspettata soluzione. "piombata dall'alto") deriva proprio da qui.
La scultura
Secondo alcuni autori greci, quali Diodoro Siculo (storico del I sec. a.C.) e Pausania viaggiatore greco del II sec. d.C.), la Sicilia diviene un focolaio artistico a sè stante ancor prima di essere colonizzata. E' in ogni caso difficile individuare uno stile siciliano prima dell'insediamento greco (VIII sec. a.C.), a causa dei numerosi scambi artistici avvenuti tra Sicilia e Grecia, in particolare nella parte meridionale dell'isola in quel tempo occupata dai Sicani. Durante la colonizzazione, la produzione artistica subisce naturalmente l'influenza di quella greca, provocando la graduale scomparsa dello stile puramente siciliano.L'isola conosce quindi i tre periodi cronologici che definiscono le correnti artistiche greche (arcaico, classico ed ellenistico). Epoca arcaica (VIII-V sec. a.C.) - Questo periodo coincide con la produzione delle prime statue ieratiche di grandi dimensioni, che dà vita, nel VI sec. a.C., ai due celebri modelli noti come kouros, figura di un giovane nudo, e koré, raffigurazione di una giovane donna avvolta in una tunica. La statua dell'Efebo di Agrigento, che costituisce un'ottima illustrazione dello stile arcaico tardivo, dimostra una certa ricerca estetica, sebbene l'equilibrio del corpo sia ancora da perfezionare (la gamba destra sembra estremamente rigida mentre le braccia tese risultano troppo lontane dai fianchi). Tra le decorazioni scolpite che ornano i templi, due esempi rappresentano lo stile arcaico rinvenuto in Sicilia: la policroma Gorgone alata, che decora il frontone dell'Athenaion a Siracusa e le metope di Selinunte, conservate al Museo Archeologico di Palermo. Grazie alla scoperta di sei metope ritrovate nel muro fortificato dell'acropoli di Selinunte e risalenti al 575 a.C., si presume che in questa città, l'unica della regione ad aver riportato alla luce questo tipo di decorazione, esistesse una scuola di scultura locale. Alcune metope evocano degli dei venerati a Selinunte, come la triade apollinea (Apollo, Artemide e la loro madre Latona) o Demetra e Persefone. Le metope del tempio C (la Quadriga di Apollo. Perseo e la Gorgone e Eracle ed i Cercopi), scolpite nel calcare locale, sono ravvivate dai colori presenti su alcuni dettagli delle loro vesti e dei loro corpi. Risalenti presumibilmente alla metà del VI sec. a.C., queste opere dimostrano una perfetta maestria nell'arte della composizione. Le metope del tempio E (Hera e Zeus, Eracle che lotta con un'Amazzone) costituiscono veri e propri capolavori, spesso paragonati alla decorazione del Tempio di Zeus ad Olimpia. Epoca classica (V-III sec. a.C.) - Quest'epoca, caratterizzata da una maggiore morbidezza nell'arte statuaria, si libera dell'antico aspetto rigido e severo. L'Efebo di Mozia, in marmo bianco, riportato alla luce senza braccia nè piedi e è oggi conservato sul luogo del ritrovamento nel Museo Giuseppe Whithaker, testimonia tale evoluzione: questo giovane, alto 1.81 m, le cui morbide forme rivelano il tipico stile del V sec., indossa una lunga tunica di soffice e avvolgente lino che evidenzia il suo muscoloso corpo d'atleta. Sembra che questo marmo, unico in Sicilia, sia stato importato allo stato grezzo dall'Anatolia e poi lavorato sul posto. L'identificazione di quest'efebo ha sollevato numerose ipotesi ma gli studiosi non sono ancora giunti ad una conclusione definitiva. Gli atlanti (o telamoni) del Tempio di Zeus Olimpio Agrigento, un tempo addossati ai muri che si ergono tra le colonne, appaiono estremamente imponenti per via delle loro dimensioni. Il Museo Archeologico Regionale di Agrigento ne conserva attualmente un solo esempio (alto 7,75 m). Alcuni motivi decorativi dei templi, come le antefisse a forma di testa di leone (Museo Archeologico di Palermo), confermano la maggiore abilità acquisita dagli artisti durante il periodo classico.Epoca ellenistica (III-I sec. a.C.) - In questi secoli, l'arte scultorea inizia a tendere verso l'espressionimo e l'orientalismo e conferisce alle divinità scolpite un aspetto più spoglio (ad esempio Afrodite, dea della bellezza e dell'amore, indossa una tunica plissettata e fluida che, lascia scoperta una parte del suo corpo) e dei tratti più umani. Questo periodo esprime, con un realismo a volte esasperato, non solo emozioni ma anche vari movimenti quali la forza e la danza. La scoperta dell'ariete bronzeo a Castello Maniace, dimostra che Siracusa è la città in cui l'influenza dei canoni greci dell'epoca ellenistica si fa maggiormente sentire. In origine questo capolavoro risalente al III sec. a.C., faceva parte di una coppia che orna il palazzo dei tiranni della città (eretto sull'antica isola di Ortigia). Il prezioso animale, mai eguagliato nella precisione dei tratti e nell'esecuzione, costituisce oggi uno dei pezzi più pregiati del Museo Archeologico di Palermo. Le maschere teatrali in terracotta del Museo Archeologico di Lipari (più di 250 modelli) risultano di notevole interesse per le varie emozioni che esprimono, tutte influenzate dalla tragedia greca che si diffonde in Sicilia nel III sec. a.C.
Pittura e ceramica
La pittura è considerata dai Greci l'espressione artistica più nobile ed eloquente, definita dal poeta greco Simonide (V sec. a.C.) "poesia muta". Le testimonianze di quest'arte sono purtroppo rare, data l'estrema sensibilità dei pigmenti delle tinture, poco resistenti al tempo. Gli unici esempi di arte grafica greca provengono quindi dai vasi. I pithos vengono utilizzati per la conservazione delle granaglie, mentre la doppia funzione delle anfore è quella di conservare e trasportare olio e vino. Le pelike, i crateri e le idrie servono rispettivamente da giare per l'olio, per il vino e per l'acqua. Sono inoltre molto comuni le oinochoe, brocche per contenere l'acqua o il vino versato in seguito nei cantari, le kylix (coppe da cui si beve) ed i rhython, recipienti a forma di corno o di testa di animale. I lekythos sono invece vasi funerari. I vasi a figure nere su sfondo rosso o giallo risalgono all'epoca arcaica e all'inizio dell'epoca classica. I dettagli delle figure vengono ottenuti incidendo semplicemente la vernice nera con una punta d'acciaio. Le scene più ricorrenti sono generalmente legate alla mitologia e alla vita quotidiana, benchè presentino a volte solo figure astratte (motivi decorativi dei vasi più antichi). I vasi a figure rosse appaiono in Italia meridionale verso la fine del V sec. a.C., in anticipo rispetto alla Grecia dove questo stile si diffonde solo nel 480 a.C. La vernice nera, impiegata negli altri vasi per disegnare le figure, serve ormai unicamente da sfondo alle decorazioni che mantengono invece il colore rosso dell'argilla. Quest'inversione, che concede una maggiore libertà di movimento, costituisce una scoperta rivoluzionaria per gli artisti, i cui disegni acquisiscono tratti più morbidi di quelli incisi con una punta. I temi raffigurati non subiscono invece notevoli variazioni. Tra gli esempi più belli di vasi attici d'importazione, figurano i magnifici crateri a volute di Agrigento (V sec. a.C.).

romana

Le vestigia romane risultano meno numerose e spettacolari di quelle ritrovate durante la dominazione greca, dato lo scarso interesse che Roma mostra per la Sicilia rispetto agli altri territori da lei conquistati. Infatti, una volta passato il pericolo di una potenziale invasione cartaginese, l'isola perde il suo carattere strategico e viene unicamente apprezzata per le sue risorse agricole. Questo "magazzino romano del grano" è quindi per molti secoli una delle tante province occupate da Roma, senza alcuna particolare attrattiva per i suoi amministratori. Malgrado ciò, i ricchi proprietari terrieri edificano splendide ville in riva al mare, come testimoniano le rovine della villa patrizia di Patti nei pressi di Tindari. Solo alla fine del III sec. d.C., sotto Diocleziano, questa provincia romana viene eletta al rango di regio suburbicaria, divenendo una delle regioni più ambite dall'aristocrazia romana, che vi acquista grandi proprietà fondiarie. Durante i sette secoli d'occupazione, Roma non offre alla Sicilia prestigiosi monumenti, ma costruisce vari edifici pubblici tipicamente romani (anfiteatri, terme, odeon ... ) ed un'efficace rete stradale utilizzata per scopi prima militari e poi semplicemente economici. Alcune zone pubbliche urbane (come ad esempio i fori) non sono ancora oggi completamente conosciute. L'evoluzione delle tecniche di costruzione spiega in parte la scarsa quantità di resti ritrovati. A differenza dei Greci, i Romani conoscono e usano il cemento con grande maestria, innalzando muri, volte e colonne con piccoli mattoni, nel cui interno viene colato il cemento. Le rifiniture sono costituite da rivestimenti marmorei (o realizzati con pietre di nobile aspetto), mentre per gli interni gli artisti adoperano addirittura lo stucco, che dà l'illusione di splendidi muri in pietra. Con il passare degli anni, o più verosimilmente a causa dell'avidità delle generazioni successive, i monumenti romani e i loro preziosi ornamenti si trasformano purtroppo in fragili rovine. Durante questo periodo i teatri greci, come quelli di Taormina e di Catania, subiscono notevoli trasformazioni: l'orchestra circolare (riservata ai cori greci) viene ridotta ad un semicerchio, mentre viene aggiunto un muro di scena per accogliere i macchinari necessari agli effetti scenici. In questi teatri si può assistere sia a spettacoli di circo che a combattimenti di belve, grazie alla presenza di un muro situato ai piedi della cavea (in parte ancora visibile a Taormina), eretto per proteggere gli spettatori. Tra i monumenti di creazione romana, degni di particolare nota sono l'Anfiteatro di Siracusa, in cui si svolgono i combattimenti fra gladiatori o belve, quello di Catania, gli odeon di Taormina e di Catania ed infine le Naumachie di Taormina (estremamente deteriorate), un immenso ginnasio costruito in mattoni e adorno di nicchie, lungo 122 m. A parte le creazioni inerenti allo spettacolo, l'architetiEura civile romana non lascia alla Sicilia resti di grande valore: la bella basilica con portici di Tindari costituisce tuttavia la prova dell'introduzione da parte dei Romani dell'arte della volta (sconosciuta dai Greci), anche in cittadine lontane dai grandi centri. Sussistono inoltre i resti di numerose terme (principalmente di epoca imperiale) a Catania, Taormina, Comiso, Solunto e Tindari e dei fori a Taormina, Catania, Siracusa e Tindari. L'abitazione romana siciliana è molto legata alla tradizione ellenistica. La casa urbana con peristilio fa la sua apparizione verso la fine dei sec. III-II a.C. (Morgantina), ma solo a Marsala ed Agrigento sono edificati modelli di case con atrio e cortile a peristilio (nati in Campania). Le creazioni più ricche si ritrovano invece nel campo delle ville di campagna, come testimonia la magnifica Villa dei Casale nei pressi di Piazza Armerina: le terme private confermano l'estrema raffinatezza del luogo, noto soprattutto per la sontuosa decorazione musiva. I mosaici, che rivestono la quasi totalità dei pavimenti, risalgono presumibilmente al III o al IV sec. e si estendono su 3500 mq. Essi costituiscono per la loro ricchezza, il loro realismo e la loro diversità, la più grande opera d'arte romana giunta ai giorni nostri.

paleocristiana

Gli scavi archeologici effettuati da Palermo a Siracusa hanno riportato alla luce interi cimiteri, situati intorno alle città e utilizzati a partire dalla fine dell'antichità, quando la Sicilia viene cristianizzata dai Romani. Le catacombe, principalmente quelle ritrovate a Siracusa (IV-V sec.) che conservano alcune tracce di decorazioni pittoriche, sono quindi le prime testimonianze d'arte cristiana. Come in tutto il mondo paleocristiano, la Sicilia può assistere poco per volta all'edificazione di chiese, ispirate all'antico modello basilicale di origine latina: un semplice rettangolo, diviso in tre navate da colonne e prolungato ad est da un'abside centrale, come quello della chiesa di San Giovanni Evangelista a Siracusa (purtroppo distrutta). Più imponenti appaiono le chiese allestite in templi antichi, tra cui il tempio della Concordia ad Agrigento e quello di Atena a Siracusa: nelle pareti della cella vengono aperte arcate, mentre vengono colmati gli spazi che si aprivano tra le colonne situate intorno al tempio. Nel 535, la conquista dell'isola da parte dei Bizantini segna il riavvicinamento della Chiesa di Sicilia all'esarcato di Ravenna e, a partire dal 751, all'impero di Costantinopoli. E' tuttavia la crisi iconoclasta che colpisce Bisanzio a dare la svolta decisiva alla storia della regione. I cristiani di Sicilia infatti, rimasti fedeli al culto delle figure sacre vietate dall'imperatore nel 725, assistono all'arrivo in massa di immigrati. Intere comunità monastiche e numerosi gruppi di artisti si rifugiano in Sicilia dove fanno mostra delle loro doti, specialmente nel campo dei mosaici. Questo florido periodo dà origine da un lato all'allestimento di numerosi santuari (tra cui quelli di Cava d'Ispica e Pantalica) e alla costruzione di abitazioni rupestri scavate direttamente nella roccia (quasi tutte scomparse), dall'altro all'edificazione delle cube, chiesette a pianta centrata quadrata (tipicamente bizantine) semplicemente formate da tre esedre che si affacciano su un'area centrale cubica, sormontata da una cupola, con un ingresso situato nell'unico lato piatto (ad ovest). Ne sussistono alcuni esempi nella parte orientale dell'isola, a nord e ad est dell'Etna (Castiglione di Sicilia, Randazzo, Rometta, Santa Venerina), nei pressi di Noto (Citadella) e nei dintorni di Siracusa. Gli altri monumenti probabilmente eretti durante il periodo bizantino, vengono completamente modificati, smembrati o adibiti ad altro uso e non sopravvivono alle civiltà successive. E' certo che sono i Bizantini ad importare l'arte musiva sull'isola, ma è possibile conoscere la loro abilità in questo campo solamente attraverso le opere realizzate durante il regno dei Normanni.

arabo-normanna

Dopo tre secoli di occupazione bizantina e due di dominazione musulmana, i re normanni si insediano in Sicilia nell'ultima metà dell'XI sec. Nel termine "arte arabo-normanna" si nasconde una sottile combinazione di elementi islamici (fatimidi, abassidi e magrebini), romanici (veicolati dalle frequentazioni dei sovrani, tra cui alcuni Benedettini franco-normanni), latini (portati da monaci italiani che seguono i Normanni durante il loro, viaggio nel sud Italia) e bizantini (provenienti da vari monaci e da un patriarcato greco-bizantino). La conquista araba ha inizio nell'827, nella regione di Trapani. Durante i due secoli e mezzo di potere, questo popolo trasforma l'aspetto della Sicilia, spostando la capitale da Siracusa a Palermo, modificando il paesaggio con lavori d'irrigazione e nuove coltivazioni provenienti dall'Oriente, ma soprattutto divulgando delle forme fino a quel momento sconosciute. In questo periodo vengono eretti numerosi edifici, sempre costruiti, in perfetta armonia con la natura: palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane. In campo architettonico, viene introdotta in Sicilia una nuova tipologia decorativa: le figure umane lasciano il posto alla geometria e agli arabeschi, l'interno delle abitazioni viene abbellito dai colori della ceramica, mentre i soffitti si ricoprono di ricchi alveoli a stalattiti. Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all'epoca musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono infatti con l'arrivo dei Normanni, che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne l'antica funzione. Dell'operato arabo, permangono unicamente alcuni elementi decorativi e il tracciato sinuoso e irregolare delle vie, tuttora visibile nel tessuto urbano di certe città come Palermo. Tutta la ricchezza dell'arte arabo-normanna nasce da un forte desiderio, da parte dei sovrani normanni, di emulare lo sfarzo di Bisanzio, città che sognano di conquistare. Grandi costruttori, i nuovi capomastri siciliani fanno uso di tutte le loro energie creative per erigere monumenti d'incomparabile splendore. A partire dalla fine dell'XI sec. e durante tutto il secolo successivo, vengono innalzate grandi chiese ideate da monaci-architetti, sia greci che francesi e latini (Benedettini ed Agostiniani), ispirate alle forme classiche: pianta basilicale a croce latina o greca, torri e portale sulla facciata, coro spesso Sormontato da una cupola. Questi edifici vengono contemporaneamente abbelliti da mosaici bizantini realizzati da artisti greci e da ornamenti arabi (archi a ferro di cavallo, decorazione fatta di arabeschi ed alveoli). Ne risulta oggi un curioso insieme di edifici, tutti risalenti al XII sec., che offrono la particolarità di associare questi tre stili. Nell'architettura degli edifici religiosi, quest'influenza è caratterizzata dalla scelta della pianta centrata quadrata, nel cui interno è inserita una croce greca con volta a botte (come nella Martorana, nella chiesa di S. Nicolò Regale di Mazara del Vallo o in quella della SS. Trinità di Delia a Castelvetrano). Nella struttura, si riconosce la tradizionale cupola siculo-bizantina, posta alla crociera del transetto su un tamburo poligonale. Anche per i capitelli, l'arte arabo-normanna si rifà a quella bizantina, introducendo un pulvino tra il capitello e l'impoista dell'arco (visibile nel Duomo di Monreale). L'assenza di rappresentazione della figura umana nella scultura bizantina può essere spiegata per tre ragioni: innanzitutto l'antipatia dei cristiani nei confronti dell'arte statuaria pagana, in secondo luogo il movimento iconoclasta (che bandisce le immagini sacre) e infine, l'influenza araba. Si dà quindi alle rappresentazioni scultoree un aspetto più che altro geometrico. In quanto alla tecnica, la pietra non viene più modellata in superficie bensì lavorata in profondità, con l'ausilio di un trapano frequentemente usato per eseguire piccoli fori. Ne risultano a volte sculture talmente traforate da sembrare vere e propri ricami di pietra. La pietra profondamente scavata permette di evidenziare maggiormente le figure in rilievo, scavandone profondamente i contorni (poi anneriti con il mastice). La più ricca ed evidente espressione dell'arte bizantina è tuttavia il mosaico che, utilizzato per ricoprire immense superfici con personaggi e vari motivi decorativi, diviene ben presto un'arte monumentale. A parte il caso della Martorana che rispetta pienamente i canoni bizantini, la disposizione del programma iconografico (teologico e liturgico) nelle chiese siciliane è modificata per facilitarne la visione dal trono reale (a Monreale e nella Cappella Palatina a Palermo). Così, sia a Cefalù che a Monreale, il Cristo Pantocratore è raffigurato in cima all'abside, mentre nelle chiese greco-bizantine si trova al centro della cupola. Infine, i re normanni si fanno rappresentare nelle sezioni tradizionalmente riservate ai santi, con i simboli dei basilei (imperatori bizantini) al fine di affermare il proprio potere. Gli Arabi portano con sè nuovi metodi di costruzione e di decorazione, che permettono lo sviluppo di veri e propri capolavori. In architettura, vengono introdotti l'arco a sesto acuto, l'arco rialzato (che si erge verticalmente sopra al capitello prima di incurvarsi) e l'arco moresco, il più rappresentativo di tale influenza: la parte superiore di quest'arco, talvolta a sesto acuto, descrive un semicerchio che si restringe alla base, formando un ferro di cavallo. Nel loro interno, tali strutture architettoniche presentano spesso delle decorazioni a stalattiti, chiamate muqamas, alveoli dipinti e scolpiti in aggetto che ornano inoltre cupole, pennacchi, capitelli e mensole. La decorazione del Duomo di Monreale (vicino a Palermo), quella della Cappella Palatina e quella dei palazzi della Zisa e della Cuba (anch'essi a Palermo) costituiscono splendide testimonianze dell'influenza islamica. La tipica tendenza araba a realizzare opere minuziosamente lavorate si ritrova in alcuni ornamenti scolpiti, quali la cornice di merloni dentellati di San Cataldo a Palermo, che costituisce un'elegante base per le tre cupole rosate che coronano l'edificio. I Musulmani apportano cambiamenti anche nei volumi, costruendo cupole a "berretto d'eunuco" come a San Giovanni degli Eremiti. E' caratterizzata da una pianta a croce latina e da facciate con torri massicce, che rivelano la tipica impronta dei Benedettini, più precisamente cluniacensi, dediti ad ampie e monumentali realizzazioni. Secondo gli studiosi, la facciata (due torri con pianta quadrata e identica struttura) del Duomo di Cefalù sarebbe ispirata alla chiesa di St-Etienne di Caen, mentre il suo interno presenta cornici ed archivolti (insieme degli intradossi di un'arco) presumibilmente influenzati da quelli delle chiese di Caen. Tuttavia gli edifici religiosi non danno grande spazio alla scultura normanna, che si manifesta unicamente sotto forma di disegni geometrici sulle arcatelle e di altri motivi decorativi, quali i fasci di foglioline e gli ovuli situati sul pulvino del capitello. La tendenza alla stilizzazione si diffonde anche nelle figure animali e in quelle vegetali, rappresentate da semplici palmette o da piante sottili e piatte, rigide e senza fioriture (come il giunco). Tuttavia alcuni prestigiosi monumenti, tra cui il chiostro di Monreale, conservano splendidi insiemi di capitelli istoriati di tradizione tipicamente romanica. Benchè numerose opere di questo periodo rivelino chiaramente un'influenza ben definita, alcune combinazioni di stili finiscono per diventare veri e propri modelli che caratterizzano l'arte durante il regno degli Altavilla. Nella Cappella Palatina, la sovrapposizione della pianta centrata quadrata bizantina, adottata per il coro, e della pianta basilicale con copertura lignea di origine latina, scelta per la navata centrale (situata ad un livello inferiore). costituisce un nuovo modello in seguito riprodotto nel Duomo di Monreale. La cattedrale di Palermo presenta inoltre la stessa decorazione esterna, ad arcatelle intrecciate e ornate da motivi geometrici in lava, dell'abside di Monreale costruita precedentemente. Vi si nota sia un legame con le bande lombarde che adornano frequentemente l'esterno delle chiese romaniche del resto d'Italia, che una riproduzione dei disegni geometrici orientali, dai toni contrastati (rosoni, scacchiere...).
Capolavoro indiscusso di questa scuola siculo-normanna, la Cappella Palatina unisce all'arte romanica, caratterizzata da una pianta allungata a tre navate e da strette finestre da cui la luce filtra soffusa, l'arte islamica, che si ritrova nella sontuosa decorazione del soffitto, nelle varie iscrizioni arabe e negli archi ogivali, e quella bizantina, cui deve la cupola su pennacchi ad angolo, i mosaici su sfondo d'oro, i rivestimenti murali a pannelli di marmo ed i pavimenti con intarsi di pietra.
Oltre ad alcuni grandi castelli edificati in posizione strategica sia a Palermo (divenuto in seguito il Palazzo Reale), che a Castellammare e a Messina (andato completamente distrutto), i re normanni si fanno costruire vari palazzi di "delizie" pensati cioè per il riposo. Dopo la dominazione degli Altavilla, la Sicilia ne possedeva nove, di cui sussistono soprattutto i palazzi della Zisa e della Cuba. Queste splendide ville, testimonianze di un'architettura destinata agli svaghi, sono immerse in grandi parchi con distese d'acqua e provviste, nel loro interno, di due caratteristiche aree: l'iwan (sala a tre esedre) e il cortile all'aperto, circondato da portici e abbellito da una o più fontane. Questi due spazi, il primo originario della Persia abbasside e il secondo dell'Egitto fatimide, fanno la loro apparizione sull'isola nel XII sec. passando per il Maghreb, in quel tempo dominato dalla Sicilia e esteso fino, alle attuali coste tunisine. Tali aree sono presenti in tutti gli edifici costruiti dagli Altavilla, sia a Palermo che nel resto dell'isola. Anche la decorazione è ampiamente ispirata all'arte islamica: pavimenti marmorei o costituiti da mattoni disposti a spina di pesce, pareti ricoperte da mosaici (realizzazione piuttosto bizantina ma con motivi arabizzanti) e infine soffitti ed archi adorni di muqarnas scolpiti e dipinti. Tra il XIII e il XV sec. la Sicilia conosce un lungo periodo di instabilità politica, durante il quale regnano numerosi sovrani, tra cui gli Hohenstaufen di Svevia (1189-1266), gli Angioini (1266-1282), gli Aragonesi (fino aI 1416) e gli Spagnoli (a partire dal 1409). Il loro punto in comune è quello di accogliere, in una terra così lontana, grandi creazioni gotiche poco apprezzate nel resto della penisola.Enrico IV e soprattutto Federico II, che regna più a lungo (1208-1250), conservano i numerosi edifici religiosi e palazzi ereditati dai Normanni, segnando invece la loro epoca con la costruzione di roccaforti, realizzate su progetti di architetti provenienti dal nord. Il gotico entra quindi in Sicilia nel XIII sec. sotto forma di architettura fortificata. A tale periodo risalgono i castelli di Siracusa (Castello Maniace), Catania (Castello Ursino) ed Augusta, così come le fortificazioni del castello di Enna (centro strategico dell'isola occupato a partire dall'epoca bizantina), di cui sussistono otto imponenti torri. Questi edifici sono caratterizzati da una pianta altamente geometrica (struttura quadrata con torri angolari o mediane), portali o finestre ad arco a sesto acuto, muri spogli ed austeri dominati da feritoie e merloni e infine stanze con volte ogivali.Se i sovrani del XIII sec. avevano avuto un ruolo preponderante nella nascita in Sicilia del gotico nordico, le grandi famiglie feudali che regnano negli anni successivi, e in particolare quella dei Chiaramonte, sviluppano tale movimento dimostrando un evidente talento nella costruzione di palazzi urbani e di chiese. Palazzo Chiaramonte, detto Lo Steri in piazza Marina, dimora palermitana di questa importante famiglia, ne costituisce un tipico esempio con la sua facciata di raffinata bellezza, coronata da feritoie ed unicamente adorna di splendide finestre con archi a sesto acuto. L'edificio possiede varie sale e cappelle interne con volte ogivali e un'ampia stanza, la più celebre di tutte, con soffitti dipinti che rievocano scene bibliche e cavalleresche, attribuite a tre pittori siciliani, Simone da Corleone, Cecco di Naro e Darenu da Palermo (non visitabili). I palazzi urbani vengono poi tutti costruiti in base a questo modello. Sono caratterizzati da bifore e trifore sormontate da archi di scarico sia traforati che ornati da motivi geometrici policromi. I Chiaramonte, che mantengono la loro egemonia durante tutto il XIV sec. a causa dell'indebolimento del potere reale, sono all'origine della costruzione e del restauro di numerosi edifici: da Mussomeli a Racalmuto e da Montechiaro a Favara, si contano almeno una decina di castelli ed edifici.Per meglio comprendere il successo dello stile gotico-catalano in Sicilia, basta ricordare l'importanza rivestita dalla dominazione spagnola a partire dalla fine del XIV sec., con il regno degli Aragonesi. Anche se in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei dove si sta già sviluppando il gotico fiammeggiante, la confederazione catalano-aragonese (divenuta, a partire dal XIII sec., una delle più grandi potenze del Mediterraneo) diffonde nell'isola il suo interesse per un gotico relativamente sobrio: figure affinate, senso delle proporzioni, tendenza a dar maggiore importanza all'ampiezza delle forme (e non più all'altezza, in particolare nel campo religioso), ampie vetrate che si aprono su facciate lisce e spoglie. A questo periodo appartengono i palazzi Santo Stefano e Corvaja di Taormina e il portale della Cattedrale di Palermo. Sulle finestre di Palazzo Bellomo a Siracusa, sono invece riprodotti i motivi decorativi di un edificio di Barcellona.
Verso la fine del XV sec., le creazioni di Matteo Carnelivari sono le testimonianze più rappresentative di tale influenza: agli elementi bizantini, arabi e normanni provenienti dalla più antica tradizione locale, egli unisce infatti alcuni elementi catalani, inoltre quest'artista disegna i progetti dei palazzi Abatellis e Ajutamicristo e probabilmente anche quelli della chiesa di Santa Maria della Catena a Palermo, la cui facciata presenta un atrio a tre arcate che sorregge un imponente muro.
Pittura e scultura - in questi due campi brillano unicamente artisti provenienti da altre regioni: gli scultori toscani e soprattutto pisani, già noti per le opere realizzate altrove, sono chiamati a lavorare nell'isola. Nino Pisano (scultore, architetto ed orefice di Pisa) esegue una morbida e ancheggiante Annunziata, tipica del suo stile, nella cattedrale di Trapani, città che a partire dal XIV sec. attira numerosi scultori per via delle sue cave di marmo. Bonaiuto Pisano realizza a Palermo l'aquila che sormonta il portale d'accesso di Palazzo Sclafani, monumento particolarmente noto per il magnifico affresco del Trionfo della Morte (oggi ospitato nella Galleria Nazionale di Sicilia, sempre a Palermo). Anche in pittura. Antonio Veneziano (formato a Venezia e attivo a Firenze) e Gera da Pisa così come alcuni artisti spagnoli, quali ad esempio Guerau Janer, lavorano per un periodo in Sicilia.
Verso la fine del XV sec. il successo di questi artisti è tale che molti di loro decidono di stabilirsi definitivamente sull'isola, come Nicolò di Maggio (di origine senese) che lavora soprattutto a Palermo.
rinascimentale
Queste due correnti, tipicamente italiane in origine, non sono in Sicilia di grande impatto. I sovrani spagnoli sono infatti poco propensi allo sviluppo nell'isola di nuove tendenze artistiche, dato che il loro paese d'origine subisce ancora l'influenza dello stile gotico, il rinascimento entra quindi in Sicilia grazie all'arrivo di artisti formati dai grandi maestri toscani.
Pittura - Nel XV sec., mentre l'italia centrale si lascia trasportare dalle correnti umanistiche e rinascimentali, la Sicilia mostra un certo interesse per questo nuovo approccio dell'arte solo grazie alla presenza di Antonello da Messina. Benchè la sua vita e la sua carriera siano a lungo rimaste un mistero, egli è sicuramente il più famoso artista siciliano. Nato a Messina nel 1430 e formato a Napoli intorno al 1450 nella bottega di Colantonio, Antonello da Messina inizia presto a viaggiare, entrando in contatto con gli artisti veneziani e fiamminghi che, gli permettono di perfezionarsi nella tecnica del colore, grazie al segreto e nuovissimo metodo della pittura ad olio. La composizione statica, la ricerca estetica della materia e la perfetta unità tonale caratterizzano lo stile di questo pittore, i cui capolavori conservati in Sicilia - L'Annunciazione a Palazzo Bellomo (Siracusa), l'Annunziata a Palazzo Abatellis (Palermo), il Polittico di S. Gregorio al Museo Regionale di Messina e il Ritratto d'ignoto al Museo Mandralisca di Cefalù - figurano tra le opere più importanti dello stile rinascimentale.
Nella prima metà del XVI sec., i pittori Cesare da Sesto, Polidoro da Caravaggio e Vincenzo da Pavia diffondono dal canto loro gli stili manieristi toscano e romano, tratti dagli insegnamenti di Leonardo da Vinci e Raffaello, mentre Simone de Wobreck (che resta in Sicilia fino al 1557) introduce le basi del manierismo fiammingo.
scultura - Nella seconda metà del XV sec., la scultura viene a sua volta completamente rinnovata grazie a vari artisti italiani, tra cui Francesco Laurana e Domenico Gagini.
Francesco Laurana, scultore ed incisore italiano, trascorre cinque anni in Sicilia (dal 1466 al 1471) dove realizza alcune opere, come la cappella Mastrantonio in San Francesco d'Assisi a Palermo e il busto di Eleonora D'Aragona a Palazzo Abatellis (Palermo). Si possono ammirare le sue Madonne con Bambino, dipinte in quel periodo, nella chiesa del Crocifisso a Noto, in quella dell'Immacolata a Palazzolo Acreide e al museo di Messina.
Domenico Gagini, nato da una famiglia di architetti e scultori italiani oniginari della regione dei laghi, si trasferisce definitivamente in Sicilia dove esercita la sua arte insieme al figlio Antonello, nato a Palermo nel 1478. E' in questa città che aprono una florida bottega. Le loro opere, che riflettono la predilezione dell'epoca per forme eleganti, vengono realizzate in marmo di Carrara e non più in tufo calcareo. La tecnica di Domenico Gagini viene poi ripresa nel campo della scultura dai suoi discendenti, di cui dieci godono di fama fino alla metà del XVII sec., sia in campo scultoreo (soprattutto opere in stucco) che in oreficeria. Numerose chiese siciliane conservano tuttora alcune splendide statue di madonne e di sante realizzate dai Gagini, benchè l'abbondante produzione abbia talvolta portato alla realizzazione di opere ripetitive e di scarso valore.
Il manierismo in scultura appare in Sicilia nel XVI sec. grazie alla presenza di artisti quali Angelo Montorsoli (1505-1563) che, venuto da Firenze, è uno dei primi a raggiungere l'isola stabilendosi a Messina dal 1547 al 1557. La sua collaborazione con Michelangelo a Roma e a Firenze, permette a quest'architetto e scultore di talento di acquisire una certa notorietà per aver dato origine al passaggio dallo stile rinascimentale a quello del manierismo "michelangiolesco". Nel 1550, egli esegue dodici altari marmorei destinati alle navate laterali del Duomo di Messina, in parte distrutti dal terremoto del 1908 e ricostruiti negli anni successivi. Tra le opere ancora intatte, la Fontana di Onione (1547-1550) a Messina costituisce uno dei massimi capolavori del XVI sec. il fiorentino Camillo Camilliani riprende i lavori di una fontana iniziata dal fratello Francesco per la villa fiorentina di Don Pedro di Toledo, che viene poi venduta alla città di Palermo nel 1573.
barocca
A partire dal XVI sec., la predominanza spagnola si fa sentire in maniera più netta in campo artistico, in primo luogo con un forte impulso controriformista e con una ricchezza ed un'esuberanza di un barocco più tipicamente spagnolo che italiano.
L'arte della Controriforma - La Sicilia sente ben presto il potere e l'autorità della Compagnia di Gesù, creata nel 1540 dallo spagnolo Ignazio di Loyola. Questo movimento, sorta di strumento di propaganda al servizio della fede, sente il dovere di proteggere l'impero cattolico da ogni tipo di pericolo. Costruite su modello della Chiesa del Gesù di Roma, le chiese "gesuite" di Sicilia ne possiedono le stesse caratteristiche. L'unica ed ampia navata è priva di qualsiasi elemento che possa nascondere l'altare, affinché le prediche possano "giungere" dirette ad ogni fedele. Il misto di solennità, imponenza, ricchezza e luminosità che regna all'interno di tali edifici religiosi è già percettibile dalla facciata: la sua ampia struttura presenta una parte elevata al centro, fiancheggiata da due ali più basse riservate alle cappelle che si affacciano direttamente sulla navata centrale. Le tipiche superfici spoglie dello stile rinascimentale sono qui suddivise in scomparti, mentre le colonne incassate sostituiscono gradualmente le lesene ed i pilastri piatti, in modo da creare ulteriori giochi di luce. A Palermo, la chiesa di S. Ignazio (detta anche dell'Olivella) è riconoscibile in lontananza dalle sue due torri e dalle sue dimensioni: perfetta testimonianza di tale stile, ha una facciata con colonne incassate che sostituiscono, intorno alle finestre e ai frontoni, i pilastri piatti rinascimentali, in modo da creare begli effetti chiaroscurali. La pittura della Controriforma riporta in auge i temi abbandonati dal protestantesimo, come la raffigurazione della Vergine, il dogma dell'Eucaristia e il culto dei santi. Lo stile delle opere realizzate continua a risentire dell'impronta di Raffaello e di Michelangelo. Solo pochi artisti palermitani (e poco conosciuti), tra cui Vincenzo degli Azani, seguono questa corrente.
Situazione storica e caratteri stilistici - Il barocco, che in Spagna raggiunge il suo apogeo nella seconda metà del XVII sec., si diffonde quasi contemporaneamente pure in Sicilia, grazie anche alle precedenti influenze arabe e bizantine che hanno abituato i siciliani ad uno stile impreziosito da marmi e dorature. L'importanza attribuita ai dettagli contribuisce alla nascita di numerosi artisti che vengono ispirati dall'esuberanza delle forme e dalla ricchezza delle decorazioni: le grate vengono minuziosamente lavorate, i balconi sono sorretti da mensole con varie figure spesso sogghignanti e derisorie, si studia approfonditamente la disposizione dei volumi e i lavori ad intarsi in pietre policrome rivaleggiano per diversità e fantasia. Inoltre, a differenza del barocco peninsulare, in Sicilia esso si estende all'urbanesimo e all'architettura.
All'inizio del XVII sec., l'amministrazione dei vicerè spagnoli intraprende la costruzione di un centinaio di nuove città, per soddisfare le esigenze di un vasto programma territoriale. Con il terremoto del 1669 e quello ancor più terribile del 1693, che distruggono quasi tutta la parte sud-orientale dell'isola, la riedificazione delle città viene immediatamente intrapresa sotto l'impulso delle autorità locali, dell'aristocrazia, degli urbanisti (Fra' Michele La Perla, Fra' Angelo Italia) e degli architetti (Vaccarini, Ittar, Vermexio, Palma e Gagliardi). Il sisma aveva aperto un immenso squarcio da Catania a Siracusa, toccando inoltre Avola, Noto, Scicli, Modica, Ragusa, Vittoria, Lentini e Grammichele. Il barocco siciliano si concentra quindi in questa parte dell'isola e nei dintorni di Palermo (Bagheria e Trapani), sede del potere.
architettura - Per la maggior parte formati a Roma, gli architetti si ispirano ai capolavori del barocco romano, superandolo a volte in un eccesso di forme, volumi e temi scelti per la decorazione scolpita. Il sentimento di fragilità della vita nei confronti delle forze della natura si traduce in un approccio dell'arte ormai lontano dalla ricerca del bello. La derisione, l'eccesso, la morte, la sofferenza e addirittura la bruttezza (della vecchiaia, della miseria e della deformazione fisica) si ritrovano nei motivi decorativi. Le forme contorte, adatte alle strutture architettoniche, si rivelano perfette per il ricco rivestimento di facciate e interni. La ricostruzione delle città è anch'essa impregnata di questa tendenza all'esagerazione, che non solo tocca l'ispirazione architettonica ma anche quella urbanistica.
Così succede a Catania, "riedificata" da Giovanni Battista Vaccarini (Palermo 1702 - Milazzo 1769) che, durante il suo apprendimento a Roma sotto la guida di Carlo Fontana scopre la geniale creatività del grande e tormentato architetto Borromini. Tornato in Sicilia intorno al 1730, Vaccarini dedica trent'anni della propria vita alla ricostruzione della città di Catania (facciata del Duomo e Palazzo Senatorio o degli Elefanti). La fontana dell'Elefante (in pietra di lava) rievoca quelle erette dal Bernini a Roma (1735) ma la sua maggiore opera d'arte è senza alcun dubbio la Badia di Sant'Agata: a pianta ellittica, presenta una facciata che ricorda, per le sue ondulazioni, la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma, opera di Borromini.
Anche Palermo possiede numerosi edifici d'ispirazione romana, dovuti ad uno dei principali architetti, Giacomo Amato, di origine palermitana (1643-1732) ma formato a Roma. Il suo stile è caratterizzato dall'impiego di motivi decorativi appartenenti all'architettura romana del XVI sec.: la chiesa di Santa Teresa alla Kalsa (1686), quella della Pietà con le sue colonne salienti che formano due imponenti piani (1689), la chiesa del SS. Salvatore con la sua cupola ellittica e numerosi palazzi privati ne costituiscono le testimonianze. Tra tutti i monumenti barocchi di Palermo, come Porta Felice e Porta San Domenico, le fontane e le facciate situate al crocevia dei Quattro Canti nel centro storico, caratterizzano pienamente lo stile barocco. Le nuove dimore aristocratiche iniziano anch'esse ad ostentare la propria ricchezza, rivestendosi di decorazioni stravaganti, come ad esempio i palazzi Mirto e Butera.
Noto, interamente ricostruita dopo il terremoto del 1693, rappresenta una perfetta illustrazione dell'omogeneità del barocco urbano siciliano, essendo stata progettata come un ampio teatro. Le prospettive "accelerate" vengono create dall'allineamento delle cornici nelle viuzze in salita, le ricche decorazioni delle facciate offrono un tocco d'animazione alle strade, mentre gli ornamenti che incorniciano le finestre e i balconi minuziosamente lavorati celebrano l'arte degli scultori e dei mastri ferrai. Quest'eccezionale insieme viene pressochè interamente ideato da un solo uomo, l'enigmatico Rosario Gagliardi, di cui si conoscono unicamente la data di nascita (a Siracusa nel 1680) e quella di morte, avvenuta a Noto nel 1726. Il più grande architetto barocco dell'isola, il cui incommensurabile lavoro è tutto concentrato in questa minuscola area, è anche attivo nelle due città vicine a Noto, ossia Ragusa e Modica. A Ragusa, egli edifica le chiese di San Giuseppe e San Giorgio. Quest'ultima è preceduta da una bella scalinata monumentale e da una lunga piazzetta, che esaltano trionfalmente la sua facciata dove le numerose statue sembrano muoversi e vibrare. Gagliardi, forse aiutato da altri architetti netini, progetta inoltre, per Modica - la vicina rivale di Ragusa - la pianta della magnifica chiesa di San Giorgio, riconoscibile dalla sua slanciata torre campanaria. Tra i palazzi barocchi, quelli di Bagheria, situata a pochi chilometri da Palermo, sono sicuramente i più rappresentativi dell'arte barocca siciliana. Tra queste raffinate ville, con saloni, dalla lussuosa mobilia e giardini popolati di statue, spiccano villa Cattolica, villa Trabia, villa Butera, villa Valguarnera e villa Palagonia, nota per la sovrabbondanza delle sue decorazioni. Eretta intorno al 1715 su ordine di Ferdinando-Francesco Gravina, principe di Palagonia, per un frate predicatore, Tommaso Maria Napoli, questa dimora viene arricchita intorno al 1746 da un'esuberante decorazione voluta dal nipote, Ferdinando Gravina Alliata. La villa diviene allora il monumento simbolo dell'assurdo, nota in tutta l'Europa dell'illuminismo ancor prima della visita di Goethe nel 1787.
scultura e decorazione - La profusione diviene in quegli anni la base di ogni elemento scultoreo e decorativo. All'interno degli edifici religiosi, le pale d'altare si ornano di pannelli marmorei scolpiti in rilievo e di colonne tortili, mentre le cornici e i frontoni sono arricchiti da figure di angeli. Tra i numerosi artigiani che fanno uso del marmo, dello stucco e della decorazione policroma, si impone in particolar modo Giacomo Serpotta (1652-1732). Dopo una formazione a Roma egli torna a Palermo, la sua città natale, per realizzare la statua equestre di Carlo II ed iniziare poi una lunga carriera di decoratore specializzato in stucchi: l'oratorio di San Lorenzo (1686-96), l'oratorio di S. Cita (1686-88) e l'oratorio del Rosario a San Domenico (intorno al 1714-1717), sono interamente ornati di figurine e di cartocci in rilievo, i cui particolari appaiono spesso molto delicati. Serpotta si dedica inoltre all'arricchimento di numerose chiese, tra cui la chiesa della Gancia e quella del Carmine. In tarda età, egli realizza la decorazione delle chiese di San Francesco d'Assisi (1723) e di Sant'Agostino (1726-28, con alcuni suoi allievi), dove i bassorilievi adorni di scenette testimoniano il completo raggiungimento di un raro virtuosismo. Massimo esponente della scultura barocca siciliana, Serpotta viene inoltre considerato il precursore delle caratteristiche forme appartenenti al rococò.
la pittura barocca - I pittori barocchi sono principalmente interessati alla ricerca sia di effetti prospettici e a "trompe-d'oeil" che di composizioni con figure diagonali o a spirale. I temi scelti per la realizzazione delle opere ricordano alcune scene della storia sacra o finzioni allegoriche. La figura più rappresentativa di questo movimento è sicuramente il Caravaggio. Michelangelo Merisi (1573-1610), detto il Caravaggio dal nome del suo villaggio natale situato vicino a Bergamo, inizia la sua carriera nel 1588 a Roma presso il Cavaliere d'Arpino. Per il suo temperamento piuttosto litigioso, è costretto nel 1605 a lasciare la città per raggiungere Napoli, poi Malta ed infine la Sicilia. Ai margini di ogni convenzione artistica, lo stile del Caravaggio è caratterizzato dalla drammaticità delle sue figure, evidenziate dagli effetti di chiaroscuro: Durante il periodo trascorso in Sicilia, l'artista esegue importanti opere, tra cui Il Seppellimento di Santa Lucia (1609), oggi conservata a Palazzo Bellomo a Siracusa, L'Adorazione dei pastori e La Resurrezione di Lazzaro, custodite nel museo di Messina. Questi dipinti ispirano in seguito numerosi artisti quali Alfonso Rodriguez (1578-1648) e Pietro Novelli (1603-1647), quest'ultimo influenzato inoltre dal pittore Olandese Van Dyck, che soggiorna a Palermo nel 1624. La Madonna del Rosario, che si trova nell'oratorio della chiesa di S. Domenico, costituisce una delle testimonianze del suo passaggio in Sicilia.
moderna
Il neoclassicismo - Questa corrente, sviluppatasi a partire dalla metà del XVIII sec. fino all'inizio del XIX, è segnata dalla passione per l'architettura greca e romana, riscoperta in seguito agli scavi effettuati ad Ercolano, Pompei e Paestum. Nel campo della pittura tale tendenza si traduce con la rappresentazione di resti archelogici, che conosce un grande successo. La scultura si arricchisce di un nuovo esponente, Ignazio Marabitti (Palermo 1719-1797) formatosi a Roma presso Filippo della Valle. Di questo artista si puù ancora ammirare la pala di Sant'lgnazio realizzata per la chiesa di Sant'Agata al collegio di Caltanissetta. A Palermo acquisisce una certa popolarità lo scultore Venanzio Marvuglia (Palermo 1729-1814): allievo del Vanvitelli a Roma, egli effettua l'ingrandimento della chiesa di San Martino delle Scale, l'oratorio di Sant'Ignazio all'Olivella (Palermo) e la villa del Principe di Belmonte. Al suo stile prevalentemente classico, l'artista aggiunge a volte una nota di esotismo, come per il padiglione cinese del parco della Favorita a Palermo.
Il naturalismo - Benchè dedito alla rappresentazione della realtà come altri artisti italiani, lo scultore Domenico Trentacoste (Palermo 1859 - Firenze 1933) non può tuttavia ancora essere considerato un naturalista. In arte, lo scopo di questa corrente (sorto dal movimento letterario verista maestralmente rappresentato in Sicilia da Giovanni Verga) è quello di raggiungere, oltre la soglia della superficialità, il profondo dell'essere. Affascinato in un primo tempo dai modelli quattrocenteschi, Trentacoste si dedica poi al naturalismo di Rodin, incontrato a Parigi intorno al 1880. Porta poi gradualmente il suo interesse verso la pittura popolare, i temi mitologici, il ritratto e il nudo (Faunetta nella galleria E. Restivo di Palermo).
Ettore Ximenes (Palermo 1855 - Roma 1926) si forma nella sua città natale e poi a Napoli, sotto la guida di Domenico Morelli. La resa realistica che caratterizza la maggior parte delle sue opere, a volte lascia il posto a linee più sinuose, tipiche dello stile liberty.
Il liberty - il liberty conosciuto anche sotto il nome di Art Nouveau o stile floreale, compare in Italia solo a cavallo dei due secoli, quando ormai nel resto d'Europa si è già affermato. Sviluppato soprattutto nel settore delle arti decorative, si caratterizza per le linee sinuose dei soggetti, siano essi figure dipinte, oggetti in ferro battuto, mobili. Un forte impulso viene dato dall'Esposizione D'Arte decorativa moderna tenutasi a Torino nel 1902. In particolare, in Sicilia grande rilievo ha la figura di Ernesto Basile, (Palermo 1857-1932), Architetto, figlio del famoso Giovanni Basile (ideatore del Teatro Massimo a Palermo), studia prima le forme dell'arte arabo-normanna e rinascimentale per approdare poi all'Art Nouveau. Sono di questo periodo i suoi lavori alla Villa Igiea (ove realizza una bellissima decorazione floreale per la sala da pranzo, al Caffè Ferraglia a Roma ed in alcune ville palermitane, tra cui Villino Florio. Si dedica inoltre alla creazione di motivi decorativi per tessuti e di mobili.
La Villa Malfitano di Palermo, residenza della famiglia Whitaker che ha reso celebre l'incomparabile vino dolce di Marsala, rappresenta una perfetta testimonianza del successo ottenuto dal liberty in Sicilia.
Arte contemporanea - Sebbene non abbia dato origine ad una corrente artistica di fama internazionale, la Sicilia può tuttavia vantare la presenza di alcune interessanti figure. Il pittore Fausto Pirandello (1899-1975), figlio del celebre scrittore, si interessa innanzitutto alla pittura cubista (di Braque in particolare) e raggiunge poi un equilibrio a cavallo tra l'astrattismo e l'arte figurativa.
Renato Guttuso (1912-1987), pittore neorealista, si forma a Palermo, ove compie studi classici, si trasferisce poi a Roma ed in seguito a Milano, ove rafforza la sua posizione politica nettamente antifascista. E in questi anni che si volge verso un'arte realista. Per i suoi dipinti, caratterizzati da un appiattimento della prospettiva, da una scomposizione geometrica che Io avvicina all'arte di Picasso, sceglie spesso soggetti in cui traspare il suo impegno sociale. A partire dal 1958, Guttuso si apre anche all'espressionismo. Ne nasce un nuovo modo di intendere la pittura, che al realismo dei soggetti unisce l'emozione, il movimento espresso attraverso l'utilizzo di colori forti e di linee decise. Una delle opere più tarde, la Vucciria sintetizza in maniera esemplare il suo stile: la cruda e realistica immagine del quarto di bue appeso in primo piano, l'accatastarsi delle cassette di frutta e di pesce che, nella loro sovrapposizione, suggeriscono la profondità, la linea centrale dei personaggi, ma soprattutto della donna di spalle in primo piano, che anima e movimenta la composizione.
Tra gli artisti contemporanei siciliani emergono poi alcuni scultori. Pietro Consagra, nativo di Mazara del Vallo (1920) studia a Palermo e giunge poi a Roma, ove si accosta all'arte astratta. Le sue sculture lasciano trasparire la ricerca sui materiali, seguita poi dal tentativo di annullare lo spessore della materia, realizzando opere con lamine sottilissime. In Sicilia, il suo nome è sicuramente legato a Gibellina, ove realizza l'imponente Stella d'ingresso alla città, e alla Fiumara d'Arte. Lo scultore Emilio Greco, nato a Catania nel 1913, s'ispira alle forme classiche, in una continua ricerca dell'armonia e dell'equilibrio. Ed è per questo che studia sia l'arte greca, che quella etrusca, romana e rinascimentale. Uno dei suoi soggetti preferiti è il corpo femminile, ma si dedica anche ad altri temi quali ad esempio quelli legati alla sfera religiosa (realizza nel 1961-64 la porta bronzea del Duomo di Orvieto e il monumento a Papa Giovanni XXIII in S. Pietro a Roma). Suo è anche il monumento a Pinocchio a Collodi. Infine Salvatore Fiume (1915-1997), noto anche come Giocondo, è attivo in vari campi tra cui la scultura, la scenografia e la pittura, che gli permette di ottenere un rapido successo. I suoi dipinti, che riflettono la diversità delle sue fonti ispiratrici, vanno dalla rappresentazione di una natura idealizzata alla piatta realtà della vita quotidiana (come la raffigurazione di donne al mercato), passando dalle ricchezze delle varie civiltà che si sono succedute in Sicilia: la sua arte si tinge di un tocco di orientalismo quando egli si riferisce all'influenza araba. In tarda età, Fiume si dedica inoltre all'arte sacra illustrando alcuni episodi biblici per le edizioni Paoline.
Per concludere, si ritiene opportuno evocare la Fiumara d'arte, situata nel massiccio dei Nebrodi, una mostra permanente di opere contemporanee dovuta all'iniziativa di un industriale siciliano, che accoglie artisti di ogni genere.

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