ARTE  IN  SICILIA

 

 

PREISTORICA E GRECA

Numerosi resti dell'epoca preistorica permettono agli studiosi di affermare che la Sicilia e le sue isole fosse abitata. Nei secoli successivi, l'arrivo in massa dei Greci costringe i Fenici a raggiungere i loro alleati, gli Elimi e i Cartaginesi, ad ovest dell'isola dove fondano diverse città, tra cui Palermo, Solunto, Selinunte e Mozia. Di quel periodo sussistono poche tracce artistiche (come la Grotta del Genovese a Levanzo e la Grotta dell'Addaura nei pressi di Palermo). L'arte siciliana raggiunge in effetti il suo apogeo in epoca greca. Nei secoli successivi, a partire dall'epoca romana fino ai giorni nostri, la creatività siciliana ha continuato però ad esprimersi. La complessità storica di quest'isola, costretta a subire l'imposizione di un'infinità di popoli e di culture su un territorio chiuso dal mare, spiega la particolarità e l'eccezionale valore storico e artistico delle opere siciliane attraverso i secoli. Secondo le fonti archeologiche, le prime tracce di fortificazioni militari e di architettura civile in Sicilia risalgono alla fine del VI sec. a.C. Poche sono le vestigia anteriori a quel periodo benchè sia presumibile l'esistenza di costruzioni militari già a partire dall'VIII sec., con l'inizio delle lotte tra le varie città e l'ascesa dei tiranni. Durante la dominazione dei tiranni la regione si arricchisce di edifici fortificati (intorno al VI sec. a.C.), costruiti con materiali che variano a seconda delle ricchezze geologiche del suolo: sul versante orientale dell'isola infatti, viene comunemente usata la lava, come lo dimostrano i siti di Naxos e Lipari. Quando le pietre risultano insufficienti, vengono sostituite da mattoni a crudo con cui si erigono le mura, il cui isolamento dal terreno è assicurato da una base costituita da sassi o da un impasto di ciottoli ed argilla.Sebbene la Sicilia non abbia riportato alla luce numerosi resti archeologici, sussistono tuttavia alcune fortezze, costruite in punti strategici nei pressi delle città o nelle immediate vicinanze, in luoghi difficilmente accessibili, queste strutture assicurano la difesa delle città, delle strade e di altre vie d'accesso. Tre grandi esempi architettonici testimoniano questo tipo di costruzione difensiva. Il Castello Eurialo, costruito intorno al quinto secolo a.C. e situato a nord-ovest di Siracusa, domina la strada principale che dalla città porta all'interno dell'isola. Nel IV e III sec. a.C., l'edificio viene ulteriormente fortificato con l'aggiunta di bastioni avanzati e di fossati e guarnito di cinque massicce torri. Ad est dell'isola l'antica città di Erice, che nel V sec. a.C. subisce una forte influenza greca, possiede ancora i suoi bastioni la cui base poligonale appartiene a quell'epoca. Le fortificazioni greche di Capo Soprano, che un tempo circondano l'intera collina di Gela, costituiscono un tipico esempio di bastioni in pietra e mattoni. Le piante di alcune città siciliane riflettono nettamente l'influenza della civiltà greca. L'urbanista Ippodamo di Mileto, filosofo e geometra greco del V sec. a.C., è il promotore della pianta a scacchiera adottata nelle città greche, fondate secondo un modello costituito da due assi: il cardo (o stenopos in greco), orientato da nord a sud, ed il decumano maggiore (plateia in greco), orientato da est ad ovest. La rete viaria è poi completata da altri cardi e decumani minori che formano una maglia ortogonale.All'interno di questa pianta sono inseriti degli edifici ben precisi e varie aree:l'agorà rappresenta, come in tutte le città greche, la piazza principale e il centro della vita pubblica: nel periodo classico viene cinta da portici regolari; il pritaneo, ai margini dell'agorà, ospita l'insieme delle attività civiche; Iekklesiasterion (riservato all'ekklesia, vale a dire l'assemblea del popolo) è un edificio pubblico profano in cui si svolgono le riunioni popolari. Quello di Agrigento è oggi uno dei più famosi risalenti a quel periodo. All'esterno della pianta urbana si estendono le costruzioni religiose e i settori a loro riservati, destinati a proteggere simbolicamente la città. L'architettura sacra è rappresentata da due tipi di monumento: il tempio e il teatro. Situati al di fuori delle città questi edifici devono essere visibili da lontano, motivo per cui dominano spesso uno splendido panorama. A partire dall'VIlI sec. a.C. i coloni greci importano in Sicilia i loro culti e i loro dei trasformando l'isola in un luogo oggi considerato uno dei più straordinari musei all'aperto di templi dorici, detti di "stile severo". Il culto degli dei non necessita della costruzione di un tempio, dato che quest'ultimo costituisce solo un'offerta fatta da una o varie città e a volte da semplici privati. Al centro dell'edificio si trova il naos (cella), camera oblunga dedicata al dio. Davanti alla cella si trova il pronaos (sorta di anticamera) mentre, nella parte posteriore, l'opistodomos serve da camera del tesoro, completato a sua volta (o sostituito, come nel tempio G di Selinunte) da un adyton. Tutt'intorno si sviluppa un colonnato (peristilio). Il tempio è composto da uno stilobate (basamento) su cui poggiano le colonne, che a loro volta sostengono una trabeazione. I lati più piccoli presentano un frontone triangolare che permette di definire l'inclinazione del tetto a doppia falda, ricoperto di tegole. Questa sovrapposizione di elementi diventa rapidamente una regola di costruzione applicata poi negli anni successivi. Lo stile dorico conosce il suo massimo splendore in Sicilia. Nato nel Peloponneso, si diffonde nella Grecia continentale e conseguentemente nei paesi colonizzati, tra cui la Sicilia, dove esercita una forte influenza. La colonna dell'ordine dorico, che unisce imponenza e sobrietà, possiede 20 scanalature verticali (a partire dal V sec.) e viene innalzata senza alcuna base, direttamente sullo stilobate. Il capitello che la sormonta, privo di decorazioni scolpite, è formato da un semplice cuscinetto rotondo (echino) sovrastato da un abaco (elemento quadrato su cui poggia la trabeazione). La trabeazione dorica è costituita da un architrave liscio, coronato da un fregio in cui si alternano metope (pannelli generalmente costituiti da bassorilievi scolpiti) e triglifi (pannelli che presentano due profonde scanalature verticali al centro e altre due più piccole ai lati). Nel VI sec. a.C., quasi tutti i templi edificati in Sicilia sono peripteri (vale a dire cinti da una fila di colonne) ed esastili (la facciata comprende 6 colonne), sebbene alcuni ne possedessero più di sei, come il tempio G di Selinunte. Per la semplicità della sua struttura e la perfetta armonia delle sue proporzioni, l'architettura del tempio è considerata il prototipo della bellezza ideale. Le sue misure vengono definite da un modulo convenzionale, calcolato in base alla dimensione del raggio medio della colonna che influisce maggiormente sulla struttura del monumento. Gli architetti, constatata la tendenza dell'occhio umano a deformare le linee degli edifici di grandi dimensioni, pensano di arrecarvi alcune correzioni ottiche. Le trabeazioni, la cui parte centrale sembra leggermente cedere verso il basso, vengono rialzate in centro, acquisendo in tal modo un'impercettibile forma arquata. Per creare un'impressione di perfetto equilibrio, le colonne situate ai margini delle facciate dei templi vengono inclinate verso l'interno, in modo da evitare l'effetto contrario. Una terza correzione viene infine apportata al fusto stesso delle colonne: nei templi particolarmente grandi (come quelli della Concordia ad Agrigento. di Selinunte o di Segesta) colonne perfettamente rastremate sembrano restringersi nella parte alta, motivo per il quale si provvede a compensare quest'illusione ottica con un rigonfiamento (entasi) appena percettibile (e solo a distanza ravvicinata) a circa 2/3 dell'altezza del fusto. Le sculture figurative, il cui ruolo è spesso didattico, compaiono sugli elementi più visibili e su quelli privi di funzione architettonica: timpano dei frontoni, metope dell'architrave e bordo dei tetti. I templi vengono dipinti con sfondi dei bassorilievi generalmente rossi e parti salienti azzurre in modo da far risaltare il candore delle sculture in marmo o in pietra. Una tonalità "bronzo dorato" permetteva di valorizzare alcuni elementi decorativi, quali scudi ed acroteri (motivi decorativi posti alle estremità o in cima al frontone). Al di sopra delle cornici laterali (alle estremità del tetto) alcune decorazioni scolpite, chiamate antefisse, fungono da doccioni.Nei pressi della maggior parte dei santuari greci sorgeva un teatro dove si svolgono le feste dionisiache (in onore di Dioniso, dio del vino), i cui inni, detti anche "ditirambi", diedero vita alla tragedia greca.Costruito prima in legno, poi in pietra, a partire dal IV sec. a.C., l'edificio comprende: il koion o cavea, serie di gradini disposti a semicerchio la cui prima fila è riservata ai preti e ai notabili: vi si accede nella parte bassa attraverso entrate laterali (parodos), nella parte centrale per una galleria (diazoma) e in quella alta per un passaggio parallelo al diazoma;l'orchestra, area circolare ove, intorno all'altare di Dionysos, prendono posto il coro e gli attori, i cui volti sono nascosti da maschere corrispondenti al loro ruolo;un proscenio (proskénion) sullo sfondo, sorta di portico che serviva da scenario, ed una scena (skéné), costruzione dalla triplice funzione di scenario, quinte e magazzino. Durante l'epoca ellenistica questa skéné diviene un luogo principalmente riservato agli attori. Il muro di scena migliora l'acustica del teatro. Dato che questi edifici sono generalmente immersi in uno splendido paesaggio, sul fianco di una collina o di una montagna, lo sfondo naturale (particolarmente spettacolare a Taormina e a Segesta) serve da scenario alle rappresentazioni. La scena, quasi sempre sopraelevata, domina l'orchestra circolare, ove vengono anche effettuati alcuni sacrifici. Le rappresentazioni teatrali nell'antichità avevano luogo in occasioni di feste pubbliche. Non erano quindi un evento ricorrente o quotidiano come adesso, ma costituivano, invece, uno dei momenti salienti di feste cittadine ed avevano, nella maggior parte dei casi, una lunga durata (potevano essere tre o quattro giorni di rappresentazione). Lo spettacolo aveva luogo di giorno ed era a cielo aperto. Gli attori, solo uomini che sostenevano anche i ruoli femminili, erano dotati di alte calzature "i coturni" e acconciature per essere ben visibili e di statura imponente (l'altezza era anche indice dell'importanza sociale di un personaggio) e indossavano maschere che permettevano di amplificare la voce e di incarnare differenti personaggi (gli attori erano pochi e sostenevano più ruoli). Esse però impedivano di sottolineare l'azione con la mimica facciale. Proprio per questo motivo, molto importanti erano i gesti. L'abito di scena era molto colorato e sembra che le tinte avessero un carattere simbolico. Così, ad esempio, il nero indicava lutto e sventura. All'identificazione di un personaggio (età, stato sociale, stato d'animo, provenienza) contribuivano anche la maschera e alcuni attributi a lui comunemente associati: la corona per ire, il bastone per i vecchi, i copricapi per gente straniera. Oltre agli attori, sulla scena trovava posto il coro, la cui funzione primaria era quella di commentare gli eventi narrati. Per sottolineare la particolare drammaticità dell'azione, o l'entrata in scena di un personaggio importante, venivano utilizzati dei veri e propri macchinari scenici. Tra i più noti vi sono la macchina per produrre i fulmini, un pannello nero su cui era riprodotta, in oro zecchino, una saetta che, mostrata all'improvviso, riluceva al sole (non si deve dimenticare che, come già accennato prima, gli spettacoli erano diurni), o la macchina del tuoni, in cui il rombo era ottenuto facendo rotolare grosse pietre in un recipiente in ottone o il Mechané, congegno tramite il quale era possibile far apparire improvvisamente sulla scena un dio che risolvesse la situazione. In effetti era probabilmente un gancio collegato ad una carrucola che permetteva di far apparire, dall'alto la divinità. L'espressione, ancora oggi utilizzata, Deus ex Machina (usata per indicare un'improvvisa ed inaspettata soluzione. "piombata dall'alto") deriva proprio da qui.

La scultura

Secondo alcuni autori greci, quali Diodoro Siculo (storico del I sec. a.C.) e Pausania viaggiatore greco del II sec. d.C.), la Sicilia diviene un focolaio artistico a sè stante ancor prima di essere colonizzata. E' in ogni caso difficile individuare uno stile siciliano prima dell'insediamento greco (VIII sec. a.C.), a causa dei numerosi scambi artistici avvenuti tra Sicilia e Grecia, in particolare nella parte meridionale dell'isola in quel tempo occupata dai Sicani. Durante la colonizzazione, la produzione artistica subisce naturalmente l'influenza di quella greca, provocando la graduale scomparsa dello stile puramente siciliano.L'isola conosce quindi i tre periodi cronologici che definiscono le correnti artistiche greche (arcaico, classico ed ellenistico). Epoca arcaica (VIII-V sec. a.C.) - Questo periodo coincide con la produzione delle prime statue ieratiche di grandi dimensioni, che dà vita, nel VI sec. a.C., ai due celebri modelli noti come kouros, figura di un giovane nudo, e koré, raffigurazione di una giovane donna avvolta in una tunica. La statua dell'Efebo di Agrigento, che costituisce un'ottima illustrazione dello stile arcaico tardivo, dimostra una certa ricerca estetica, sebbene l'equilibrio del corpo sia ancora da perfezionare (la gamba destra sembra estremamente rigida mentre le braccia tese risultano troppo lontane dai fianchi). Tra le decorazioni scolpite che ornano i templi, due esempi rappresentano lo stile arcaico rinvenuto in Sicilia: la policroma Gorgone alata, che decora il frontone dell'Athenaion a Siracusa e le metope di Selinunte, conservate al Museo Archeologico di Palermo. Grazie alla scoperta di sei metope ritrovate nel muro fortificato dell'acropoli di Selinunte e risalenti al 575 a.C., si presume che in questa città, l'unica della regione ad aver riportato alla luce questo tipo di decorazione, esistesse una scuola di scultura locale. Alcune metope evocano degli dei venerati a Selinunte, come la triade apollinea (Apollo, Artemide e la loro madre Latona) o Demetra e Persefone. Le metope del tempio C (la Quadriga di Apollo. Perseo e la Gorgone e Eracle ed i Cercopi), scolpite nel calcare locale, sono ravvivate dai colori presenti su alcuni dettagli delle loro vesti e dei loro corpi. Risalenti presumibilmente alla metà del VI sec. a.C., queste opere dimostrano una perfetta maestria nell'arte della composizione. Le metope del tempio E (Hera e Zeus, Eracle che lotta con un'Amazzone) costituiscono veri e propri capolavori, spesso paragonati alla decorazione del Tempio di Zeus ad Olimpia. Epoca classica (V-III sec. a.C.) - Quest'epoca, caratterizzata da una maggiore morbidezza nell'arte statuaria, si libera dell'antico aspetto rigido e severo. L'Efebo di Mozia, in marmo bianco, riportato alla luce senza braccia nè piedi e è oggi conservato sul luogo del ritrovamento nel Museo Giuseppe Whithaker, testimonia tale evoluzione: questo giovane, alto 1.81 m, le cui morbide forme rivelano il tipico stile del V sec., indossa una lunga tunica di soffice e avvolgente lino che evidenzia il suo muscoloso corpo d'atleta. Sembra che questo marmo, unico in Sicilia, sia stato importato allo stato grezzo dall'Anatolia e poi lavorato sul posto. L'identificazione di quest'efebo ha sollevato numerose ipotesi ma gli studiosi non sono ancora giunti ad una conclusione definitiva. Gli atlanti (o telamoni) del Tempio di Zeus Olimpio Agrigento, un tempo addossati ai muri che si ergono tra le colonne, appaiono estremamente imponenti per via delle loro dimensioni. Il Museo Archeologico Regionale di Agrigento ne conserva attualmente un solo esempio (alto 7,75 m). Alcuni motivi decorativi dei templi, come le antefisse a forma di testa di leone (Museo Archeologico di Palermo), confermano la maggiore abilità acquisita dagli artisti durante il periodo classico.Epoca ellenistica (III-I sec. a.C.) - In questi secoli, l'arte scultorea inizia a tendere verso l'espressionimo e l'orientalismo e conferisce alle divinità scolpite un aspetto più spoglio (ad esempio Afrodite, dea della bellezza e dell'amore, indossa una tunica plissettata e fluida che, lascia scoperta una parte del suo corpo) e dei tratti più umani. Questo periodo esprime, con un realismo a volte esasperato, non solo emozioni ma anche vari movimenti quali la forza e la danza. La scoperta dell'ariete bronzeo a Castello Maniace, dimostra che Siracusa è la città in cui l'influenza dei canoni greci dell'epoca ellenistica si fa maggiormente sentire. In origine questo capolavoro risalente al III sec. a.C., faceva parte di una coppia che orna il palazzo dei tiranni della città (eretto sull'antica isola di Ortigia). Il prezioso animale, mai eguagliato nella precisione dei tratti e nell'esecuzione, costituisce oggi uno dei pezzi più pregiati del Museo Archeologico di Palermo. Le maschere teatrali in terracotta del Museo Archeologico di Lipari (più di 250 modelli) risultano di notevole interesse per le varie emozioni che esprimono, tutte influenzate dalla tragedia greca che si diffonde in Sicilia nel III sec. a.C. 

 

Pittura e ceramica

La pittura è considerata dai Greci l'espressione artistica più nobile ed eloquente, definita dal poeta greco Simonide (V sec. a.C.) "poesia muta". Le testimonianze di quest'arte sono purtroppo rare, data l'estrema sensibilità dei pigmenti delle tinture, poco resistenti al tempo. Gli unici esempi di arte grafica greca provengono quindi dai vasi. I pithos vengono utilizzati per la conservazione delle granaglie, mentre la doppia funzione delle anfore è quella di conservare e trasportare olio e vino. Le pelike, i crateri e le idrie servono rispettivamente da giare per l'olio, per il vino e per l'acqua. Sono inoltre molto comuni le oinochoe, brocche per contenere l'acqua o il vino versato in seguito nei cantari, le kylix (coppe da cui si beve) ed i rhython, recipienti a forma di corno o di testa di animale. I lekythos sono invece vasi funerari. I vasi a figure nere su sfondo rosso o giallo risalgono all'epoca arcaica e all'inizio dell'epoca classica. I dettagli delle figure vengono ottenuti incidendo semplicemente la vernice nera con una punta d'acciaio. Le scene più ricorrenti sono generalmente legate alla mitologia e alla vita quotidiana, benchè presentino a volte solo figure astratte (motivi decorativi dei vasi più antichi). I vasi a figure rosse appaiono in Italia meridionale verso la fine del V sec. a.C., in anticipo rispetto alla Grecia dove questo stile si diffonde solo nel 480 a.C. La vernice nera, impiegata negli altri vasi per disegnare le figure, serve ormai unicamente da sfondo alle decorazioni che mantengono invece il colore rosso dell'argilla. Quest'inversione, che concede una maggiore libertà di movimento, costituisce una scoperta rivoluzionaria per gli artisti, i cui disegni acquisiscono tratti più morbidi di quelli incisi con una punta. I temi raffigurati non subiscono invece notevoli variazioni. Tra gli esempi più belli di vasi attici d'importazione, figurano i magnifici crateri a volute di Agrigento (V sec. a.C.).

 

romana

Le vestigia romane risultano meno numerose e spettacolari di quelle ritrovate durante la dominazione greca, dato lo scarso interesse che Roma mostra per la Sicilia rispetto agli altri territori da lei conquistati. Infatti, una volta passato il pericolo di una potenziale invasione cartaginese, l'isola perde il suo carattere strategico e viene unicamente apprezzata per le sue risorse agricole. Questo "magazzino romano del grano" è quindi per molti secoli una delle tante province occupate da Roma, senza alcuna particolare attrattiva per i suoi amministratori. Malgrado ciò, i ricchi proprietari terrieri edificano splendide ville in riva al mare, come testimoniano le rovine della villa patrizia di Patti nei pressi di Tindari. Solo alla fine del III sec. d.C., sotto Diocleziano, questa provincia romana viene eletta al rango di regio suburbicaria, divenendo una delle regioni più ambite dall'aristocrazia romana, che vi acquista grandi proprietà fondiarie. Durante i sette secoli d'occupazione, Roma non offre alla Sicilia prestigiosi monumenti, ma costruisce vari edifici pubblici tipicamente romani (anfiteatri, terme, odeon ... ) ed un'efficace rete stradale utilizzata per scopi prima militari e poi semplicemente economici. Alcune zone pubbliche urbane (come ad esempio i fori) non sono ancora oggi completamente conosciute. L'evoluzione delle tecniche di costruzione spiega in parte la scarsa quantità di resti ritrovati. A differenza dei Greci, i Romani conoscono e usano il cemento con grande maestria, innalzando muri, volte e colonne con piccoli mattoni, nel cui interno viene colato il cemento. Le rifiniture sono costituite da rivestimenti marmorei (o realizzati con pietre di nobile aspetto), mentre per gli interni gli artisti adoperano addirittura lo stucco, che dà l'illusione di splendidi muri in pietra. Con il passare degli anni, o più verosimilmente a causa dell'avidità delle generazioni successive, i monumenti romani e i loro preziosi ornamenti si trasformano purtroppo in fragili rovine. Durante questo periodo i teatri greci, come quelli di Taormina e di Catania, subiscono notevoli trasformazioni: l'orchestra circolare (riservata ai cori greci) viene ridotta ad un semicerchio, mentre viene aggiunto un muro di scena per accogliere i macchinari necessari agli effetti scenici. In questi teatri si può assistere sia a spettacoli di circo che a combattimenti di belve, grazie alla presenza di un muro situato ai piedi della cavea (in parte ancora visibile a Taormina), eretto per proteggere gli spettatori. Tra i monumenti di creazione romana, degni di particolare nota sono l'Anfiteatro di Siracusa, in cui si svolgono i combattimenti fra gladiatori o belve, quello di Catania, gli odeon di Taormina e di Catania ed infine le Naumachie di Taormina (estremamente deteriorate), un immenso ginnasio costruito in mattoni e adorno di nicchie, lungo 122 m. A parte le creazioni inerenti allo spettacolo, l'architetiEura civile romana non lascia alla Sicilia resti di grande valore: la bella basilica con portici di Tindari costituisce tuttavia la prova dell'introduzione da parte dei Romani dell'arte della volta (sconosciuta dai Greci), anche in cittadine lontane dai grandi centri. Sussistono inoltre i resti di numerose terme (principalmente di epoca imperiale) a Catania, Taormina, Comiso, Solunto e Tindari e dei fori a Taormina, Catania, Siracusa e Tindari. L'abitazione romana siciliana è molto legata alla tradizione ellenistica. La casa urbana con peristilio fa la sua apparizione verso la fine dei sec. III-II a.C. (Morgantina), ma solo a Marsala ed Agrigento sono edificati modelli di case con atrio e cortile a peristilio (nati in Campania). Le creazioni più ricche si ritrovano invece nel campo delle ville di campagna, come testimonia la magnifica Villa dei Casale nei pressi di Piazza Armerina: le terme private confermano l'estrema raffinatezza del luogo, noto soprattutto per la sontuosa decorazione musiva. I mosaici, che rivestono la quasi totalità dei pavimenti, risalgono presumibilmente al III o al IV sec. e si estendono su 3500 mq. Essi costituiscono per la loro ricchezza, il loro realismo e la loro diversità, la più grande opera d'arte romana giunta ai giorni nostri.

 

paleocristiana

Gli scavi archeologici effettuati da Palermo a Siracusa hanno riportato alla luce interi cimiteri, situati intorno alle città e utilizzati a partire dalla fine dell'antichità, quando la Sicilia viene cristianizzata dai Romani. Le catacombe, principalmente quelle ritrovate a Siracusa (IV-V sec.) che conservano alcune tracce di decorazioni pittoriche, sono quindi le prime testimonianze d'arte cristiana. Come in tutto il mondo paleocristiano, la Sicilia può assistere poco per volta all'edificazione di chiese, ispirate all'antico modello basilicale di origine latina: un semplice rettangolo, diviso in tre navate da colonne e prolungato ad est da un'abside centrale, come quello della chiesa di San Giovanni Evangelista a Siracusa (purtroppo distrutta). Più imponenti appaiono le chiese allestite in templi antichi, tra cui il tempio della Concordia ad Agrigento e quello di Atena a Siracusa: nelle pareti della cella vengono aperte arcate, mentre vengono colmati gli spazi che si aprivano tra le colonne situate intorno al tempio. Nel 535, la conquista dell'isola da parte dei Bizantini segna il riavvicinamento della Chiesa di Sicilia all'esarcato di Ravenna e, a partire dal 751, all'impero di Costantinopoli. E' tuttavia la crisi iconoclasta che colpisce Bisanzio a dare la svolta decisiva alla storia della regione. I cristiani di Sicilia infatti, rimasti fedeli al culto delle figure sacre vietate dall'imperatore nel 725, assistono all'arrivo in massa di immigrati. Intere comunità monastiche e numerosi gruppi di artisti si rifugiano in Sicilia dove fanno mostra delle loro doti, specialmente nel campo dei mosaici. Questo florido periodo dà origine da un lato all'allestimento di numerosi santuari (tra cui quelli di Cava d'Ispica e Pantalica) e alla costruzione di abitazioni rupestri scavate direttamente nella roccia (quasi tutte scomparse), dall'altro all'edificazione delle cube, chiesette a pianta centrata quadrata (tipicamente bizantine) semplicemente formate da tre esedre che si affacciano su un'area centrale cubica, sormontata da una cupola, con un ingresso situato nell'unico lato piatto (ad ovest). Ne sussistono alcuni esempi nella parte orientale dell'isola, a nord e ad est dell'Etna (Castiglione di Sicilia, Randazzo, Rometta, Santa Venerina), nei pressi di Noto (Citadella) e nei dintorni di Siracusa. Gli altri monumenti probabilmente eretti durante il periodo bizantino, vengono completamente modificati, smembrati o adibiti ad altro uso e non sopravvivono alle civiltà successive. E' certo che sono i Bizantini ad importare l'arte musiva sull'isola, ma è possibile conoscere la loro abilità in questo campo solamente attraverso le opere realizzate durante il regno dei Normanni.

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